Una cosa divertente (?) che non farò mai più – giorno 5

Una cosa divertente (?) che non farò mai più – giorno 5

Gioco di specchi. Sembro una libellula leggera con il collo alla modigliani, invece… tornerò rotolando.
Vi aggiorno rapidamente sulla tappa di oggi: attracco al porto di Napoli ed escursione alla Reggia di Caserta. Ci aggiriamo in un giorno di sole fra saloni sontuosi in compagnia del nostro gruppetto di solo sei persone. Tutta la Reggia per noi, nel deserto turistico, a meno due giorni della chiusura di tutti i musei, come da Dpcm. Che dire? Non succederà più; grande tristezza, ma anche grande privilegio.
Lo so, sono indietro con il reportage ma, dovete essere comprensivi, non c’è molto tempo libero per scrivere il blog qui in crociera; bisogna vestirsi, truccarsi, escursionare, vedere gli spettacoli (che meritano uno spietato post ad hoc), ma soprattutto: bisogna mangiare.
Mangiare in crociera è un meccanismo perverso cui è impossibile sottrarsi.
Durante la prima cena all’imbarco a Savona, io e le altre tre bocche sante delle mie compagne di viaggio ci siamo avvicinate con aria schizzinosa al menu scaricato da QR code, mangiando in punta di forchetta e criticando parecchio. Anche sulla colazione del giorno successivo avevamo qualche osservazione e qualche rammarico per la scomparsa del buffet. Pur davanti a vassoi di selezione dolce da ottocento calorie, lamentavamo la difficoltà a ottenere pane integrale e yogurt magro o le mie noci cardioprotettive, richieste fuori menù al cameriere indiano, misteriosamente trasformate – vuoi per il mio inglese, vuoi per il suo o come subliminale messaggio lassativo nei miei confronti – in una ciotolina di tristi prugne secche.
Non si vergognava questa gente intorno ad ordinare pancake, piatti di frutta, croissant, pasticcini, marmellate, pane tostato, uova strapazzate in quantità sufficiente ai petit déjeuner di un’intera settimana? – ci chiedevamo con aria di equilibrata superiorità.
Al terzo pasto, ogni pudore era ormai perso.
E’ bastato familiarizzare col meccanismo della scelta, entrare nel vortice ipnotico dei Destination Menù di Bruno Barbieri e farci versare più dita di nero d’avola di quante fossimo in grado di reggere – ed ecco che l’aplomb della signora snob e inappetente ha lasciato posto al brio gourmand e alla joie de vivre, che è un modo elegante per dire che abbiamo cominciato a scofanarci di tutto.
Ogni proposta gastronomica è diventata improvvisamente squisita, assaggiare tutto una missione divina, rinunciare a ordinare il dolce – tanto ne sento solo un cucchiaio – un’irreparabile offesa allo chef, al maitre e perfino al comandante in capo.
Saranno stati i camerieri indiani che sorridono compiacenti qualunque quantitativo di portate tu ordini, senza fulminarti con lo sguardo riprovevole che meriteresti, saranno le piccole porzioni – che però moltiplicate per dieci assaggini fanno un piatto da trattoria per camionisti – sarà il quando mi ricapita nel dna del dopoguerra, sarà il fosforo del pesce, le “vitamine” della frutta o la seduzione perfida dell’all inclusive, non so… ma noi quattro ragazze abbiamo cominciato a moltiplicare antipasti, primi piatti e secondi, con la patetica scusa del “tanto poi dividiamo”.
E come noi, il magico mondo dei crocieristi: tutti a ingurgitare sfacciati multipli di calorie, a fare fuochi artificiali con l’indice glicemico, a sparare voti come i giudici di masterchef, ma soprattutto a mangiare come se non ci fosse un domani, tre volte al giorno (e se vuoi quattro, il Rugantino ti rimpinza pure all’ora del tè), cibi impiattati come quadri di Mondrian, con nomi lunghi tre righe sul menù e porzioni da nouvelle cousine che a volte sembrano proprio studiate per fare un dispetto al lavapiatti. Perciò serve ordinarne sedici diverse, ma accompagnate da una salutare insalata mista fuori menù. Come il segno della croce.
Solo per questo, io credo, sulla Costa Smeralda esiste anche un’affollatissima palestra con tapis roulant su cui sudare e percuotersi col cilicio guardando l’orizzonte del mare. Arrancare su elittica e cyclette per sfuggire al senso di colpa, in attesa di prepararsi per cena.
Io allo sbarco non temo il tampone o la misurazione della temperatura corporea – che peraltro ci rilevano dieci volte al giorno, sparandoci col termo scanner dietro ogni angolo.
Però, se l’esame diagnostico in uscita dovesse misurare il livello di colesterolo o la glicemia, allora sì che siamo tutti spacciati.

Leggi il resto del diario di bordo:
giorno 1
giorno 2
giorno 3
giorno 4

giorno 6 – 7 – 8

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