Una cosa divertente (?) che non farò mai più – giorno 1

Una cosa divertente (?) che non farò mai più – giorno 1

Prendendo a prestito il titolo del noto reportage narrativo di David Foster Wallace, inizio il diario di bordo della mia prima e surreale crociera.
Diario di bordo che, al momento in cui scrivo, potrebbe pure finire in giornata.
Sono seduta nel bel mezzo di un porto commerciale, senza nessuna certezza di terminare l’avventura con un imbarco.

Ma cominciamo dall’inizio.
Sto per fare la più grande cazzata della mia vita? Mi sono ripetutamente chiesta nei giorni che hanno preceduto la partenza.
La risposta era sempre “probabilmente sì” e il probabilmente si riferiva al fatto che la mia vita è stata lunga e di cazzate con cui gareggiare ne potrei già enumerare parecchie. Che fosse una cazzata, insomma, era abbastanza certo, sul ranking si poteva discutere.
D’altra parte, quale coscienzioso e ragionevole individuo partirebbe in crociera – vacanza sempre snobbata con esibito senso di superiorità perché antitesi del mio ideale viaggio anarchico e slow – in piena pandemia, alle soglie di un lockdown nazionale, lasciando a casa gli anziani genitori nelle mani di badante nervosa, figli e mariti increduli ma rassegnati, unicamente perché la vacanza è gratis e offerta con insistenza da sorella agente di viaggio?
Nessuno sano di mente.
Allora, se sono qui sulla terrazza del terminal Costa di Savona, datevi delle risposte.

Fino all’ultimo mi sono detta che non sarei partita, me lo ripetevo mentre infilavo in valigia una spropositata quantità di paillettes che nemmeno a capodanno, e mi scoprivo a chiedermi – ma solo per un attimo – se dovevo preoccuparmi di portare a fine ottobre, come suggerito sul sito Costa, un abito bianco per il “Total White Party” – che, con un guizzo di anarchico orgoglio, confesso di non aver preso.
Fino all’ultimo mi sono detta che non sarei partita, dato che, verso sera, mi assaliva la certezza di essere covidpositiva – ne era prova certa uno starnuto, un asintomatico accertato a tre gradi di separazione, un localizzato dolore al polmone sinistro che si accentuava esattamente al momento del bollettino di guerra del TG di tamponi, ricoverati e decessi.
Fino all’ultimo mi sono detta che non sarei partita – in crociera, io? – per poi scoprirmi a caricare nel bagagliaio della Skoda familiare valige mastodontiche da Grand Tour ottocentesco, e a guidare alla volta del porto di Savona.
Io, mia sorella entusiasta alla sua ennesima crociera e altre due amiche su un’autostrada deserta.
Ci aspetta l’ammiraglia Costa Smeralda, grattacielo galleggiante, alveare di balconi, e su una passerella in lontananza, due animatori vestiti rispettivamente da zucca e da spaventapasseri horror – e non mi pare un bel segno. L’Halloween Cruise promette sorprese.
Non immaginavo quante.
Introdotti da hostess sorridenti dietro le mascherine, ci accomodiamo in una sala d’attesa stile ASL per l’esecuzione del tampone ai candidati passeggeri. Io sono terrorizzata dall’idea che un cotton fioc gigante venga inserito nei miei orifizi senza anestesia generale e, al tempo stesso, sono incontrovertibilmente certa della mia positività. Comincio a scusarmi con le compagne di viaggio per aver rovinato loro la vacanza. Nessuno si imbarcherà per colpa mia.
Spiego all’infermiera dietro al paravento che non ho mai fatto tamponi, che sono terrorizzata, che ho il setto nasale deviato, che ci vada piano. Lei solleva lo sguardo e mormora “Oggi tutti a me mi capitano” e comincia a ravanare nella mia narice destra.
Mi presento allo step successivo con il mascara colato dall’occhio destro e capisco che non avrò mai la stoffa della signora da crociera.
Ci dotano di un aggeggio elettronico che monitorerà tutti i nostri contatti durante la crociera. Se avevi in mente Love Boat, abbandona la tentazione: resterà sempre il sospetto – in caso di flirt con un ufficiale bianco vestito per più di 15 minuti a meno di due metri – che arrivi un whatsapp alla tua chat di famiglia.
Ci introducono in un elegante terminal punteggiato da palme finte, ci accompagnano ai divanetti suddivisi per cabina e aspettiamo l’esito del tampone. Io sono sempre più certa che non partirò.
Infatti, si avvicinano due infermiere al divanetto cui siamo accomodate io e mia sorella, compagne di destino, leggono il codice a barre sulla carta d’imbarco e ci invitano a seguirle.
Io continuo a scusarmi con mia sorella e confesso tutto.
Ci interrogano su come siamo arrivate, da dove, rileggono il codice a barre e invitano mia sorella – mia sorella? -a rifare il tampone, questa volta molecolare.
No, scusate, c’è un errore, avete confuso i campioni?
Sembrano gli homevisit di XFactor: due candidati che attendono di sapere chi andrà ai live e chi no. Solo che qui, se mia sorella si conferma positiva, ai live non ci andrà nessuna. Non resta che appendersi alla speranza del televoto.
Ci dividono, ci danno una doggy bag con un tramezzino di plastica, una mela e altri snack e ci anticipano che trascorreranno almeno quattro ore prima di sapere se la nostra crociera finisce qui (e preoccupazioni più angoscianti annesse).
Ora, insieme a molta gente sempre più nervosa, stiamo aspettando il verdetto sulla terrazza del terminal: il tampone molecolare confermerà la positività dell’antigenico – succede nel 10% dei casi, ci spiegano – oppure no e potremo imbarcarci dopo esserci sentite un po’ sfortunati untori?
Mi prefiguro scenari di ogni tipo, mentre penso che ci sono situazione più drammatiche e incrocio le dita.
Non sono più così allegra.
Dopo le prime cinque ore di attesa, ci annunciano mesti che la macchina che processa i tamponi si è rotta e non avremo l’esito per almeno altre due ore, ma la nave ci aspetterà – rassicurano.
L’attesa dei candidati, da composta e preoccupata, ha ormai l’aspetto di un nervoso bivacco. Emergono le tipologie sociologiche più diffuse: l’agente di viaggio irritato e pronto all’azione, l’anziano attacca bottone, momentaneamente diviso dalla giovane compagna trentenne e sudamericana, in cerca di rassicurazione, il giovanottone che si consola pensando che, se tanto ci sbarcano, domani c’è il derby.
Ve la faccio breve, anche se non lo è stata affatto.
Quando, dopo sette ore di attesa, il medico ha riunito i primi positivi chiamando uno alla volta i nomi dei falsi positivi che potevano uscire dalla stanza e procedere all’imbarco, mia sorella ha sofferto più che a qualsiasi esame universitario in attesa di venire nominata, mentre la stanza si svuotava progressivamente.
Quando l’hanno finalmente liberata dall’incubo, i miei primi cinque minuti sono stati di euforica gratitudine verso il mondo, verso l’assistente che ci invitava a imbarcarci e sfoderavo sorrisi anche al vigilante del metal detector. Lo scellerato sollievo è durato pochissimo, mentre procedevo a zigzag sull’interminabile passerella vetrata che ci portava verso la pancia della balena, la gratitudine lasciava posto a un sentimento di rabbia e burrasca. Con quell’espressione devono avermi immortalato davanti a un fondale marino di un set per la foto di benvenuto dove ci hanno trascinati a forza appeno messo piede sulla nave.
Poi cabina, cena di corsa, e l’animatore vestito da zio Fester che ci trascina in un teatro con splendide attrezzature multimediali e orrido spettacolo di animazione stile villaggio turistico, condotto dallo spaventapasseri horror avvistato in precedenza.
E ora attendo il dolcetto di Halloween, quanto a scherzetti direi che abbiamo dato.

Leggi il resto del diario di bordo:
giorno 2
giorno 3
giorno 4
giorno 5
giorno 6 – 7 – 8

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