Racconto perché non so fotografare.
Nel posto di cui vi parlo sarebbe stato comunque vietatissimo fotografare (e fanno sul serio), quindi vi ci porto con le parole.
Quando l’evangelizzazione spagnola – con le buone o le cattive – ha convertito al cattolicesimo le popolazioni dell’America latina, i riti cristiani si sono fusi con pratiche religiose persistenti, dando luogo a tradizioni che non hanno molto a che fare con la nostra messa della domenica. L’ho visto a Cuba con la Santeria e, stamattina, dentro la chiesa di San Juan a Chamula, nel Chiapas.
Fuori la luce abbagliante del sole, l’intonaco bianco e i colori del Messico; dentro penombra, un pavimento cosparso da lunghi aghi di pino e la luce di migliaia di candele ovunque, soprattutto sul pavimento, perché non ci sono panche, né pulpiti.
Non c’è un altare, ma cento, addossati alle pareti della chiesa, illuminati da un mare di candele, con statue di vari santi dentro le teche, statue con al collo uno specchio – per riflettere il demonio. C’è perfino una teca, illuminata da una catena di lucine intermittenti che suonano in loop un improbabile jingle natalizio. È il Messico, bellezza! Troppo di tutto.
I fumi delle candele hanno annerito le pareti. Mi faccio domande per cui so che non troverò risposta: che succede di notte? Chi controlla tutte quelle fiammelle? Perché quel pavimento cosparso di aghi di pino che a me pare così infiammabile e pericoloso?
L’anidride carbonica prodotta dalle migliaia di fiammelle, mescolata all’odore degli incensi stordisce; forse stordisce anche i polli che se ne stanno quieti tra le braccia dei nativi, quieti e ignari come animaletti da compagnia.
Inginocchiati per terra, i nativi nei loro vestiti tipici: poncho ricamati, gonne di lana, bambini legati al fianco. Sono generalmente a piccoli gruppi, due di loro, inginocchiati, tendono una sciarpa dietro a una donna che prega. Litanie salmodianti, suoni ripetuti, più che parole. Vedo donne anziane con nastri intrecciati a cappelli grigi ad incorniciare visi incartapecoriti. Nessuna sorride, qualcuna piange. Fra loro cerco, senza riuscire ad individuarla, la “curandera”, colei che assegna il numero delle candele da accendere e i riti da compiere. Quella che sa di malocchio e di misteriosi rimedi.
Un uomo, appena entrato, si inginocchia, libera con le mani qualche spanna di marmo del pavimento dagli aghi di pino e dispone in perfetta fila orizzontale delle candele lunghe, sottili e spente. Ne passa la base su un mocciolino acceso per farla liquefare e poi le incolla al pavimento, una alla volta, con precisione. Un altro, spegne due fiamme a terra con una bottiglia di Coca Cola; le fiamme prima di estinguersi, si alzano e danzano più alte. Ovunque Coca Cola e bibite gassate che i fedeli bevono per ruttare ed espellere il male.
Una donna allatta.
Un uomo estrae un bel galletto da una scatola di cartone, lo passa salmodiando alcune volte sulle candele, lo abbraccia dolcemente e, con un colpo deciso, gli tira il collo. Ripassano a turno l’animale agonizzante sulle candele. Ancora si muove. Lo finiscono con delicatezza, se così si può dire, e lo ripongono nuovamente nella scatola.
Io non ho mai visto uccidere un animale da pollaio prima d’ora.
In un gruppetto, accanto alla gonna della madre, un bambino di pochi anni mi osserva – devo essere così diversa e strana e impressionata – mi sorride e mi fa ciao con la mano.
Grazie a Dio – penso – ed esco nel sole.