Messico e nuvole – capitolo 1

Messico e nuvole – capitolo 1

“Per il Messico?
Prendi per Istambul, poi a sinistra fino a Città del Messico, poi torna indietro fino a Cancun”.

Passare dal sentirsi un’esperta di acrobatiche triangolazioni sull’atlante, come un giocatore di biliardo che mette in buca in tre sponde, a considerarsi una totale deficiente… è un attimo.
Mentre scrivo propendo per la seconda opzione, dopo 16 ore di volo, 2 ore di transito a Città del Messico senza poter scendere dal velivolo fermo (nemmeno una corsa avanti indietro per il soffietto dell’hub) e un ritardo imprecisato nella prossima rotta verso Cancun. Sequestro di persona e niente riscatto, mi pare.
Invece di imprecare contro me tapina o invocare il santo protettore dalle caviglie gonfie, che poi sono troppo stanca e polverizzata anche per quello, mi appunto qualche conquista di saggezza da tener cara per il futuro:
–  Non importa se a 20 anni potevo dormire sul pavimento del traghetto per Ibiza o sul tetto di una casa greca in costruzione; inutile compiacersi se ho visitato Petra a sorpresa, per colpa di uno sciopero a Fiumicino, mentre ero diretta in Sri Lanka (triangolazioni involontarie) fingendomi la seconda moglie di una coppia in viaggio di nozze; è irrilevante se ho esplorato il Borneo con i bimbi piccoli, sparando dardi con la cerbottana… devo arrendermi: adesso si è fatta una certa e anche Indiana Jones deve prendere in considerazione viaggi meno “adventure”. Lo spirito temerario (leggi incosciente) alberga ancora nel mio cuore salgariano, ma la cervicale, la circolazione e i tempi di recupero suggeriscono saggiamente che è il momento di considerare un volo, non dico in business, ma almeno diretto, che giunga a destinazione senza fare il giro del globo terraqueo – e se servirà rimandare la partenza fino a quando il mio porcellino salvadanaio sia ingrassato a sufficienza, e sia.
– L’eternità trascorsa in aereo mi ha illuminato su leggi che possono sfuggire nell’entusiasmo della partenza, ma diventano evidenti nell’abisso della frustrazione:
Ad esempio, deve esistere un disciplinare per gli assistenti di volo che prevede la loro scomparsa non appena il volo ha un problema e i passeggeri si agitano nei loro loculi. Quando riappaiono cinguettando “coffée or tea?” è solo perché non c’è più bisogno di loro. Tanto comunque – sto viaggiando con Turkish Airways – il popolo turco e la lingua inglese sono foneticamente incompatibili. Non ci capiremmo comunque, anche se non si nascondessero nelle toilette.
Altra profonda riflessione: le composizioni di vaschettine, bicchieri, stagnole cui devi dedicarti sui vassoi del pranzo quando hai terminato, fra spostamenti millimetrici e accurate pile in equilibrio è un esercizio di prestidigitazione pensato per sconfiggere la noia, come il tetris.
Legge del “venitevelo a riprendere!”: il tempo in cui il vassoio del pranzo in volo permane a un centimetro dalla tua pancia, parcheggiato fra il tavolinetto e il tuo desidero muovere una gamba, è inversamente proporzionale al gradimento del contenuto di stagnole e panini di gomma del suddetto vassoio.
Che se volete sentirvi “safe” quando sedete su una poltrona sanificata, è meglio che non assistiate – per di più rinchiusi contro la vostra volontà – al passaggio degli addetti delle pulizie. Acquisirete la consapevolezza che di safe c’è solo la scritta sull’involucro di plastica e che state condividendo eserciti di cosmopoliti batteri che albergano lì da generazioni e segnano rotte internazionali.
E tante altre riflessioni di questa specie… che 20 ore sono lunghe. ma fino a qui ci sono arrivata e mi preparo a passare anche il prossimo muro: sconfiggere il jat lag dato che qui sono le 9 di sera e io mi sento morire in piedi.

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