Ricordo numero uno: magica frustrazione

Ricordo numero uno: magica frustrazione

La città organizza uno spettacolo con i bambini delle scuole materne. Lo fanno al Teatro Comunale, – non allo Storchi, il teatro della prosa, che ai tempi era chiuso per restauri, – ma proprio al Comunale, il teatro della lirica, quello più sontuoso.

La mamma mi ci porta, arriviamo tardi, lo spettacolo è già iniziato e non ci fanno più accedere alla platea, per non disturbare. Ci invitano a salire le scale e percorriamo un corridoio semicircolare su cui si affaccia una parata di porte chiuse. Apriamo quella che ci è stata assegnata ed entriamo in un salottino buio ed ovattato, con divanetti e velluti che, come un balcone da principesse, si apre su uno spazio enorme, brulicante di persone e bambini che intravedo ovunque al buio.

Il davanzale è alto e morbido e sul palcoscenico si muovono bambini della mia età, agitano mani guantate di bianco sotto luci viola.
Mi godo il privilegio di quello stanzino di stucchi dorati tutto per noi, affacciato su un luogo misteriosamente magico –Shh, a teatro si deve fare silenzio.

Non so dove guardare: i cristalli del lampadario? Il pubblico là in basso che respira e si agita sulle poltrone? Il salottino di fianco con bambini così vicini che se allungo la mano posso toccarli?
Dello spettacolo non ricordo quasi nulla. Ma il finale è un’apoteosi: la presentatrice esce per i saluti e… dal soffitto del teatro calano lentamente tanti trapezi con appesi abiti che ondeggiano meravigliosi, forse recuperati dalla polvere della costumeria.
Si accendono le luci di sala e i bambini in platea – ma SOLO quelli in platea – vengono invitati a salire sul palco per indossare e giocare con quei costumi, in un gran finale collettivo.
E a me, da quell’improvvisamente odioso, lontano e periferico salottino della principessa non resta che guardare dame, condottieri e gitani in abiti oversize rincorrersi su palco, mentre la mamma mi allaccia svelta la sciarpa al collo per trascinarmi fuori – in fretta, prima che escano tutti – dice.

#FacciamoLuceSulTeatro

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