Tra narrazione e teatro

Tra narrazione e teatro

Un’amica mi ha chiesto un intervento per un libro che racconterà le attività del Gruppo di ricerca Narrazione Memo di cui faccio parte. E’ stata una bella occasione per raccontare come utilizzo il cerchio narrativo nei laboratori teatrali. Lo condivido anche in questo post, se a qualcuno interessa.

“Premessa: non sono un’insegnante di scuola. Mi occupo di teatro e di storytelling. Partecipo attivamente al Gruppo Narrazione Modena da molti anni perché vi ho trovato stimoli e strumenti fondamentali per la mia attività.

D’altra parte, le storie come strumento per addomesticare il caos, le storie raccontate all’altro, con la voce, il corpo, la relazione… non sono forse già teatro?

Il teatro che mi interessa è quello in cui scopro che una storia rappresentata – fosse anche scritta 2500 anni fa – mi riguarda, contiene qualcosa di urgente, vivo, personale.

Per questo il metodo della narrazione orale è uno strumento interessantissimo nelle sue contaminazioni con il teatro; sia per avvicinare le grandi storie all’esperienza personale, aiutando un processo di risonanza emotiva, sia per costruire contenuti da portare in scena che nascano dai partecipanti e valorizzino l’esperienza autobiografica in una dimensione artistica.

Nei laboratori con gli adulti e con i ragazzi spesso introduco momenti di narrazione strutturati secondo il metodo del Gruppo.
Lo faccio principalmente in questi due modalità, ma sono certa ve ne possono essere altre:

–       IL TEATRO NEGLI INPUT
spesso gli input che scelgo per “accendere la miccia” narrativa sono storie teatrali o letterarie, che stimolano racconti autobiografici.  Ad esempio con adulti mi è capitato di sollecitare narrazioni sull’importanza “dell’attimo”, a partire dalla scena del risveglio asincrono di Giulietta e Romeo o da quella della morte di Cristiano nel Cirano di Rostand. Allo stesso modo utilizzo storie letterarie evocative: ad esempio Alice di Carroll e Oscar Wilde in un laboratorio di ragazze della scuola media si sono rivelati fantastici alleati per stimolare una serie di narrazioni sul tema dello specchio e dell’identità.

–       LA NARRAZIONE NEL COPIONE
Talvolta la direzione è opposta: non uso il cerchio narrativo per entrare nella storia teatrale, ma per “costruire” la storia da rappresentare e da restituire. In questi casi, il materiale raccontato nei cerchi narrativi, diventa “copione” e testo teatrale. Le storie nate dai partecipanti ricevono non solo l’ascolto del gruppo, ma anche la valorizzazione “artistica” della rappresentazione, che spesso viene affidata ad altri “attori” come succede con il testo teatrale, in cui i piani tra autore, interprete e pubblico si intrecciano in un processo di identificazioni e trasformazioni del testo.

Un paio di esempi:
a) un’attività narrativa con adulti, strutturata in più incontri sul tema del “tempo”, è confluita in una performance teatrale in cui i racconti delle partecipanti hanno trovato una collocazione, inseriti in una struttura narrativa e registica.
b) Un laboratorio nella scuola media, partendo da narrazioni autobiografiche dei ragazzi legate al tema del rapporto con la natura, ha consentito di costruire una scena interpretata dai ragazzi e inserita in uno spettacolo di attori rappresentato nella scuola stessa per tutti gli alunni delle classi II, realizzato in collaborazione con Legambiente intorno a tematiche di sensibilizzazione ambientale.

ORTODOSSIA E NON
Il mio rapporto con il metodo del Gruppo Narrazione è libero.
Ci sono aspetti nei quali mi attengo strettamente ad esso e altri in cui lo ho “adattato” alle esigenze della mia attività.

Nel momento del cerchio narrativo rispetto con scrupolo le regole di ascolto, di non intervento, di ritualità. Inoltre cerco in assoluto di non introdurre, né sollecitare elementi performativi nelle narrazioni, separando nettamente il momento dei contenuti e quello della forma.

Non sono invece fiscale sull’obbligo autobiografico, talvolta, ad esempio, uso il metodo per invitare a raccontare storie immaginate. Personalmente credo che ciascuno finisca per parlare di sé e di ciò che gli sta a cuore anche quando crede d’inventare o di attribuire storie ad altri. L’àncora autobiografica è utile per far sembrare più facile il compito di raccontarsi, ma quando riesci a farlo attraverso storie non propriamente tue, non propriamente vere, raggiungi l’obiettivo con un amplificato spazio di libertà.

Dopo la narrazione “classica” però, il materiale raccontato diventa oggetto di rielaborazioni, selezioni, interventi per inserirlo in una struttura idonea ad andare in scena. Le storie si scambiano, il narratore non è l’autore, e diventano patrimonio comune del gruppo, materia lavorabile.
In questa fase cominciamo a preoccuparci di “come raccontare”, di “cosa è efficace” per la restituzione al pubblico.
I partecipanti attraversano un percorso che inizia con il disagio nel separarsi dalla propria storia e nel vederla inevitabilmente trasformata, seguito però dal riconoscimento e dal piacere di scoprire il senso proprio arricchito dal contributo degli altri, dalla sorpresa e l’orgoglio nel vedere i propri racconti, inizialmente personali e circostanziati, moltiplicare le letture possibili e acquisire una dimensione artistica.

SUI BENEFICI RELAZIONALI DELLA NARRAZIONE NEI GRUPPI TEATRALI

A differenza di quanto ci si propone nella narrazione in classe o all’interno di progetti specifici, nell’attività teatrale io non la introduco per “migliorare il clima”, allo stesso modo in cui non amo pensare di fare teatro “per educare”. Il teatro è il fine di se stesso.
Però… ho costatato che i gruppi “teatrali “che fanno insieme un percorso di narrazione intrecciano relazioni significative tra loro in tempi brevissimi, collaborano, sono più accoglienti e meno competitivi di quanto non accada nei laboratori teatrali con attività solo performativa.
E questo mi sembra un fantastico “effetto collaterale”.

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