Quando la maestra alle elementari ci conduceva, piccoli astronauti in fila indiana, con la cintura del grembiule tra le labbra per respirare ossigeno, attraverso i corridoi della scuola ad esplorare il Sistema Solare, passando accanto a satelliti, pianeti e stelle invisibili che prendevano fantastica consistenza nelle sue descrizioni e nelle cosmo avventure che tesseva per noi, insieme alla storia del nostro viaggio spaziale… Cos’era quella? Era narrazione o didattica?
E ancora ce l’ho davanti, Farinata degli Uberti, imponente dalla cintola in su, descritto con sanguigni primi piani narrativi dal mio prof di greco, approdato per una strana divagazione al canto decimo della Divina Commedia. Eppure la descrizione di quell’orgoglio plastico e quella tempra, vent’anni dopo, la devo al suo racconto, prima che ai versi di Dante.
E capita ancora che nella noia dell’ascolto dell’ennesimo intervento al convegno, l’attenzione si riaccenda quando il relatore, tra una slide e l’altra, infili un illuminante esempio fatto di vita personale o il racconto della conversazione col taxista, che è quello che sostanzialmente mi resterà del suo intervento.
E mi rallegro quando il maestro di mio figlio fa lezione di storia portando la classe a casa di anziani contadini a raccoglier racconti profumati di ricordi.
Succede sempre. Le storie insegnano come nient’altro.
Altrimenti Gesù non sarebbe ricorso alle parabole e i pubblicitari -che la sanno lunga – non avrebbero mai pensato di vendere pasta raccontando di salvataggi di gattini o di mulini inverosimili con sex-symbol che parlano alle galline.
Tutti i buoni insegnanti hanno nella cartella storie per insegnare. E spesso le usano senza accorgersene. Quando scendono dalla cattedra, quando parlano di qualcosa che amano, quando entrano in relazione davvero.
Alla scuola primaria capita spesso. Poi, man mano che l’allievo cresce, il galateo del docente prevede una rassicurante barriera di linguaggio esplicativo/informativo. Ma le storie non perdono il loro potere. A nessuna età.
Questa necessità di contaminazione tra narrazione e didattica è un tema su cui ho voluto costruire un progetto di formazione per gli insegnanti.
In una società che sottopone tutti ad un’overdose di informazioni, la scuola non può limitarsi a fare altrettanto. Urgono storie “per dare forma al disordine dell’esperienza”, per creare “relazioni attraverso le quali possano passare contenuti”. Non penso sia facile. Ma credo che gli insegnanti, soprattutto quelli della scuola media e superiore, debbano sentirsi legittimati alle storie e convinti che il tempo e la fatica del viaggio narrativo diano senso al contenuto e producano cambiamenti. Occorre concedersi, talvolta, quel tempo dilatato del racconto, apparentemente eccessivo, così lontano dai ritmi del “programma”. D’altronde Sherazade, per trasformare un sultano misogeno in un marito innamorato, ha impiegato 3 anni di storie interrotte e cominciate. Notte dopo notte.
Lezione dopo lezione.
Dal piano formativo di Memo, il mio corso per insegnanti