Di cicale e anticorpi al tempo del coronavirus

Di cicale e anticorpi al tempo del coronavirus

L’hanno certamente raccontata anche a voi: la formica travet che d’estate accatastava provviste al canto della cicala e, giunto l’inverno, alla collega affamata che chiedeva un sostegno, rispondeva picche:
“Cosa hai fatto durante l’estate, mentre noi faticavamo per prepararci all’inverno?”
“Io? Cantavo e riempivo del mio canto cielo e terra!”
“Hai cantato? Adesso balla!”

L’ho sempre trovata odiosa. La formica, intendo.
Riempire di canto il cielo e la terra mi pareva un compito altrettanto prezioso per la comunità quanto accatastare provviste.
Avrei dovuto intuire già allora la considerazione sociale riservata agli artisti…

Non ci abbiamo messo molto a sigillare teatri, eventi culturali, musei e scuole.
Molto più cauti con centri commerciali, ristoranti, uffici, fabbriche e trasporti.

Di fronte alla necessità di imporre rinunce, l’analisi dei costi benefici ha espresso chiaramente la scala di priorità del paese.
Uno Shakespeare si può rimandare a tempi migliori, il carrello pieno no.
La formazione è un piccolo lusso, la produzione una necessità.
Gli insegnanti possono stare a casa, tanto fanno poco comunque, ma la working class, quella no, quella sorregge l’economia fragile di questo fragile paese.

E così, di fronte alla necessità di misure draconiane, è risultato chiaro che cosa può essere buttato per primo dalla torre.
Prendiamoci cura della cicala perché gli anticorpi alla paura – di un’epidemia, di un cambiamento, dell’altro – si fanno cantando.
In un teatro, nell’ascoltare musica, in una classe che commenta un libro o che visita un museo.
Prendiamoci cura della cicala perché per sfuggire al contagio di Firenze funzionò anche raccontarsi le storie del Decamerone, della peste di Tebe ricordiamo l’ostinazione di Edipo e di tante cose si muore prima di morire.

Se mandiamo gli artisti a ballare con la cicala, balleranno.
Speriamo solo che, ancora una volta, ci trascinino nella danza, almeno un po’.

 

Foto di Laura Tarugi

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